Lessico Familiare – Il Padre

Al padre, oltre all’atto biologico della generazione, occorre un secondo atto più fondamentale: l’atto dell’adozione della vita del figlio. Il padre si manifesta con un gesto simbolico di riconoscimento. Senza questo gesto simbolico non abbiamo responsabilità illimitata che non ha termine perché la tua venuta al mondo ha cambiato ai miei occhi il volto del mondo per sempre. La tua venuta nel mondo ha reso il mondo diverso da come era prima”. Il dono della paternità è dunque il dono di una responsabilità illimitata, senza diritto di proprietà.

“Che cos’è un padre?” è la domanda che ha tormentato il padre stesso della psicoanalisi per tutta la sua vita. Freud non ha fatto altro che chiedersi “che cos’è un padre?” e se dovessimo riprendere il filo del suo ragionamento e ridurlo a due elementi fondamentali dovremmo dire che per Freud il padre è il simbolo della legge, che non troviamo scritta in nessun libro, in nessun codice. Non è una norma giuridica, non è una legge giuridica, non è scritta in nessun libro di diritto, eppure questa legge non scritta è a fondamento di una vita comunitaria, di tutte le forme di vita di civiltà. Ha quale legge ci stiamo riferendo? Alla legge che interdice l’incesto. La prima funzione paterna è interdire l’incesto, che non è solo il desiderio sessuale di un bambino di accoppiarsi con sua madre (o viceversa), ma la spinta dell’essere umano a realizzare un godimento che non ha limiti: vedere tutto, godere tutto, sapere tutto, avere tutto, essere tutto.

La legge del padre è quella che interdice questa spinta alla totalità: non si può essere tutto, sapere tutto … In questo senso io dico che la funzione fondamentale del padre è quella di portare nel cuore dell’essere umano l’impossibile, l’esperienza dell’impossibile. Non tutto è possibile. Il simbolo del padre indica esattamente questa esperienza dell’impossibilità, cioè dell’esperienza del limite. Il padre è il simbolo della legge e, in quanto tale, custodisce il senso del limite. Il limite è fondamentale nella formazione della vita umana, non tanto perché la legge di un padre debba castigare, frustrare, mortificare, punire; la funzione fondamentale della legge di cui il padre è il simbolo non è una funzione particolare, punitiva, repressiva, sadica. La legge di cui il padre è simbolo è finalizzata a far vivere il desiderio. Lo sanno bene i ragazzini quando in un prato vogliono fare una partita a calcio: sono obbligati a tracciare delle linee per delimitare il campo. La funzione della legge serve a delimitare il campo che rende possibile il gioco del desiderio. La legge del padre non è contro il desiderio, ma lo sopporta. Ecco perché si diceva che la funzione fondamentale del padre non è contrapporre la legge del desiderio, ma piuttosto di unire la legge al desiderio. Un passaggio di Freud che mi ha sempre molto colpito e che ho decifrato solo recentemente dice: “Un padre è qualcuno che sa tenere gli occhi chiusi”. Un padre è il contrario del Grande Fratello. Il Grande Fratello è l’immagi di una legge persecutoria, a cui non sfugge nulla, mentre il padre è il volto umano della legge. Il su compito è umanizzare la legge e per farlo bisogna renderla un po’ cieca, non bisogna vedere tutto. Questa possibilità di chiudere gli occhi rappresenta la maniera paterna di declinare in senso umano la legge. La legge è umana in quanto ospita il perdono. La legge è umana in quanto sa fare eccezioni, non si applica come un dispositivo anonimo, acefalo, automatico. Noi però abbiamo di fronte un problema enorme: nel nostro tempo sembra che questa alleanza fondamentale di cui il padre è il simbolo tra la legge e il desiderio si sia interrotta. Il nostro tempo è quello del divorzio tra legge e il desiderio. Abbiamo un desiderio impazzito, anarchico, di morte. È un desiderio caotico, che perde la dimensione della generatività. Il nostro tempo è il tempo della “evaporazione” del padre, cioè il valore della parola del padre viene meno, evapora, diventa inconsistente. Abbiamo tante immagini nel nostro tempo di questa inconsistenza del padre. Una è quella che apre uno degli ultimi film di Nanni Moretti “Habemus Papam”.

“Carissimi fratelli e sorelle, nuntio vobis gaudium magnum: habemus papam.” (si sente uno scoppio disperato di pianto).

Un cardinale viene nominato Papa, si affaccia sul balcone di San Pietro e invece di guidare con voce ferma e autorevolezza simbolica il proprio popolo, si mette a piangere come un bambino. C’è un’inversione della catena generazionale. Non sono i padri che guidano i bambini, ma si potrebbe dire che sono i bambini che guidano i padri. Nel nostro tempo il balcone di San Pietro, come nel film di Moretti, è vuoto. Significa che il nome del padre non giuda più come una bussola infallibile il suo popolo, significa che c’è un’esperienza di smarrimento che riguarda innanzitutto i padri. Il nostro tempo è un tempo che dissocia la rinuncia del senso. Non c’è alcun senso nella rinuncia, ma il nostro tempo è anche il tempo che appiattisce la differenza simbolica tra le generazioni. I padri assomigliano sempre più ai figli: parlano come i figli, si vestono come i figli, giocano con gli stessi giochi dei figli … Siamo di fronte a una sorta di rivoluzione antropologica: una volta era il figlio che quando veniva al mondo doveva adattarsi alle leggi della famiglia. Oggi sono le leggi della famiglia che si devono adattare ai capricci anarchici dei figli. Come mostra in modo esilarante questo spezzone del celebre film di Nanni Moretti.

(squilla il telefono e la piccola Sara si precipita a rispondere)
– Sara, sono Lorenzo, il papà di Daniele, ti ricordi? Senti, mi passi il papà, per favore?
– Come fa il micio?
– Fa miao miao
– E il grillo? Come fa il grillo?
– Il grillo fa cri cri, lo sai. Ma adesso passami papà.
– Come fa la pecora?
– La pecora fa bee bee, il gallo fa chicchirichi …..
– Come fa l’asinello?
– Sara, ti prego, passami papà… iiih -oooh, l’asinello fa iiih-oooh. Lo sai questo … e poi io non li conosco tutti i versi…
– Da anni ormai la località il Salina era dominata dai figli unici: ogni famiglia aveva un figlio soltanto, a cui era affidato il comando della situazione. Ormai era praticamente impossibile comunicare per telefono, perché gli apparecchi venivano subito intercettati dai bambini …

Beh, avevamo detto che il padre è il simbolo della legge: questo dialogo ci fa vedere la difficoltà dei padri a far esistere l’esperienza dell’impossibile. Questa difficoltà è in gran parte dovuta a una nuova forma di angoscia che ha investito i nuovi padri. Quale forma di angoscia? Il fatto che, sempre più, i nuovi padri sono angosciati dal fatto di non essere sufficientemente amati dai loro figli, perché se un padre incarna il “no”, incarna lo spigolo duro del no ed è chiaro ce la sua immagine diventa meno amabile agli occhi dei figli. Se invece dice sempre “si”, come accade in questo dialogo dove c’è una vera e propria dittatura dei figli nei confronti degli adulti, è costretto a rincorrere il riconoscimento del figlio, come se la catena del riconoscimento simbolico tra le generazioni si fosse invertita. Non è più il figlio che vuole essere riconosciuto dal padre come un soggetto degno di valore ma è il contrario. Sono i genitori che vogliono essere riconosciuti dai figli come sufficientemente amati. Questo comporta la difficoltà a incarnare un evento positivamente traumatico del limite. Dobbiamo ancora fare un avanzamento: nel tempo in cui il nome del padre ha perso la sua consistenza, nel tempo in cui i padri sono evaporati. Nel tempo del post-padre, come nel libro di Michele Serra “Gli Sdraiati”, che cosa resta del padre? Come possiamo ripensare la figura del padre? Se il padre non è più quello ad avere l’ultima parola nel discorso, come era una volta, se un padre non è più lo sguardo severo e la voce grossa che genera in famiglia un’atmosfera di rispetto mista a paura, se il padre non è colui che spiega infallibilmente il senso della vita, la differenza fra il bene e il male, fra il giusto e l’ingiusto, se questa rappresentazione del padre è evaporata…che cosa resta del padre? Noi abbiamo un romanzo (che io amo e ho amato molto) che si presta veramente a rispondere con grandissima intensità a questa domanda. È intitolato “La Strada”, l’autore e Mc Carthy e risale ai primi anni del 2000. In questo romanzo l’autore immagina un mondo che è una cifra drammatica di come è il nostro mondo: un mondo sopravvissuto a stento ad una catastrofe ecologica, incenerito, traumatizzato, non ci sono uccelli nei cieli, non ci sono pesci nelle acque, non ci sono stelle nei cieli: tutto è grigio. In questo mondo gli esseri umani si sono trasformati in cannibali, si stuprano, si mangiano, i bambini vengono inseguiti per essere prima uccisi e poi divorati. Prevale il cannibalismo. La legge della parola è stata surclassata dalle leggi della pura violenza. È chiaro che Mc Carthy sta descrivendo in modo apocalittico il nostro tempo: il cielo sopra le nostre teste è vuoto, non c’è nessun Dio, nessun padre che ci può salvare. Ma in questo scenario apocalittico, i protagonisti di una resistenza alla tentazione di suicidarsi, cioè di uscire dalla scena nel mondo, sono incarnati da una coppia che non ha nome: un padre e un figlio. Ogni giornata è sufficiente a sé stessa, ogni ora… non c’è un dopo, il dopo è già qui. Tutte le cose piene di grazia e bellezza che ci portiamo nel cuore hanno origine comune nel dolore, nascono dal cordoglio e dalle ceneri.

“Ecco” – sussurrò al bambino addormentato – “Io ho te”.

Qui abbiamo un’immagine di padre che deve interessare molto. In un’epoca in cui il simbolo della legge è evaporato resta qualcosa del padre. Che cosa resta? Il fatto che noi dovremmo pensare la sua esistenza dai piedi, dal basso, non più dall’autorevolezza della sua voce e del suo sguardo, ma dai suoi gesti, dalla testimonianza che egli dà, attraverso la sua vita, quella che noi viviamo, può avere un senso. Non tanto il padre che spiega il senso della vita (i padri che i figli oggi trovano insopportabili), ma il padre che mostra attraverso la sua vita che la vita può avere un senso che si prodiga di riparare il più possibile la vita del figlio dall’orrore insensato della vita, in modo tale che la vita del figlio possa essere animata dalla speranza. Lo stesso passaggio, questa idea per cui la spalla del padre protegge la vita del figlio dalla ustione traumatica della vita, l’abbiamo in un altro film molto bello, intitolato “La vita è bella” di Benigni, dove abbiamo un padre che non è il padre della gloria, del nome, della potenza, della parola e della mano, ma è un padre che mostra tutta la sua vulnerabilità e al tempo stesso la sua responsabilità illimitata nella protezione e nel riparo della vita del figlio. (Un nazista in tedesco spiega tutte le regole del campo di concentramento…. Il padre al figlio inventa la traduzione dal tedesco, per non spaventarlo, per proteggerlo…)

-“Comincia il gioco: chi c’è c’è, chi non c’è non c’è” – “5000 punti” – “Il primo classificato vince un carro armato. Ogni giorno vi daremo la classifica generale” – “All’ultimo giorno l’ultimo classificato andrà a casa con un cartello con scritto ASINO sulla schiena” – “Noi facciamo la parte di quelli cattivi che urlano. Chi ha paura niente punti” – “In tre casi si perdono tutti i punti: li perdono 1) quelli che si mettono a piangere, 2) quelli che vogliono vedere la mamma e 3) quelli che hanno fame e vogliono la merendina. Scordatevela! È molto facile perdere i punti per la fame: io ho perso 40 punti perché volevo un panino con la marmellata di albicocche, lui di fragole” – “Non chiedete i lecca lecca perché non ve li danno. Ce li mangiamo tutti noi -Io ieri ne ho mangiati 20 e ho mal di pancia…” – “Scusate se vado di fretta oggi, ma sto giocando a nascondino, se no mi fanno tana…”

Qui si vede bene come la parola del padre non è più la parola che guida in modo infallibile la vita del figlio, ma la parola che protegge e che si oppone al traumatismo scabroso della violenza, come nel libro “La strada” di Mc Carthy dove il padre, in un clima di violenza gratuita non dimentica di educare il figlio alla legge della parola. Il padre testimone è il padre che resta nell’epoca dell’evaporazione del padre, dove il padre testimone non è più il padre autoritario, che impugna la frusta o il bastone. Il padre testimone mostra in carne ed ossa la forza, la vitalità del proprio desiderio: di questo hanno bisogno i figli. I figli hanno bisogno di respirare l’ossigeno del desiderio. Il padre testimone è il padre che testimonia l’esistenza dell’ossigeno del desiderio. Non necessariamente è il padre di sangue, il padre della stirpe, della genealogia. Un insegnante può essere l’incarnazione del padre testimone. Per esempio nel film “Million dollar baby” c’è l’incarnazione del padre testimone in un allenatore di pugilato. Il padre testimone c’è ogni qualvolta che c’è l’esperienza del desiderio che si incarna e che contagia il desiderio del figlio. In questo senso noi abbiamo una trasformazione radicale della figura del padre. La possiamo ascoltare in quest’ultimo brano, straordinariamente intenso, tratto da “La strada”.

“Quando si svegliava in mezzo ai boschi, nel buio e nel freddo della notte, allungava la mano per toccare il bambino che gli dormiva accanto. Notti più buie del buio e giorni uno più grigio di quello appena passato… La sua mano si alzava e si abbassava ad ogni prezioso respiro. Si tolse di dosso il telo di plastica, si tirò su avvolto nei vestiti e nelle coperte puzzolenti e guardò verso est in cerca di luce. Ma non c’era”.

La tenerezza con cui la mano del padre testimone non impugnava più nessuna frusta, non impugna più nessun bastone, ma accompagna il movimento del corpo del bambino e la mano che custodisce il suo respiro e al tempo stesso il grande dono che questo padre dà al figlio e che ogni padre dovrebbe dare al figlio… è avere fede nei confronti del desiderio
del figlio.

Ecco, adesso noi sentiamo insieme un’intervista con Michele Serra.

“L’autorità in casa mia era mio padre e io credo che allora in quasi tutte le case italiane l’autorità fosse il padre. La madre, nel mio caso, era l’estro, il divertimento, era molto spiritosa. Mio padre era una persona che con un “no” o con un “si” influenzava molto la vita familiare. Io ci ho provato, da padre, pensavo che anche per me tutto funzionasse così, in modo automatico. Pensavo che i “si” e i “no” fossero due paroline che avevano conservato intatto il loro significato, invece non è più così. Sono stato un padre incapace di dispensare alcuni necessari precetti, ma era giusto che io fossi così, perché io sono così. Quando capii di essere diventato un padre? L’ho capito quando è morto mio padre, cioè quando si smette di essere figlio in modo ufficiale. Non c’è stato un momento, non riesco ad identificare un momento particolare di felicità nell’essere padre, c’è un’infinità di momenti, spalmati nella vita quotidiana, che ti rimangono dentro, più di tutti la prima risposta (che può essere non verbale, magari uno sguardo…) in cui ti rendi conto che c’è un bruco che ti impedisce di dormire la notte: è un essere umano.

Nel romanzo “Gli sdraiati” il protagonista recita a soggetto, spesso improvvisa: ecco, come padre io sono stato spesso un improvvisatore. Mio padre mi ha lasciato (io me ne sono accorto tardi) il silenzio, il pudore… Io da ragazzo pensavo che questa fosse mediocrità, uno che fosse troppo discreto, troppo borghese, troppo composto, troppo timoroso di disturbare… e ho capito che questa discrezione era un grandissimo dono e piacerebbe anche a me essere riuscito a trasmettere un poco di questa compostezza”.

“Mi chiedevo e volevo chiederle cosa ne pensa dell’esistenza dell’istinto paterno”.

“Beh, diciamo che nella psicoanalisi la parola istinto non trova cittadinanza. L’’istinto definisce fondamentalmente la vita animale. La vita animale è fatta di istinti… anche quando per esempio vediamo una gazzella madre difendere la propria piccola dall’aggressione di un animale rapace, anche in questo caso noi abbiamo una risposta istintuale che riguarda la maternità, ma siamo sempre a livello di un istinto.

Penso che la paternità sia soprattutto un gesto simbolico e quando dico un gesto simbolico intendo un gesto che impegna tutta l’esistenza del padre. Ci può essere sempre la voglia di avere un figlio in una madre, un padre, ma volere avere un figlio non è desiderare un figlio, volere avere un figlio è voler avere qualcosa in più per sé, desiderare un figlio è invece il
colmo dell’amore. Quando c’è autentico desiderio di un figlio è sempre il desiderio di “due”, non è mai uno che vuole avere, ma è il colmo dell’amore dei due che genera la vita di un altro, la vita di un figlio. Questa generazione più che una risposta istintuale è l’effetto dell’amore, della presenza dell’amore. Il figlio dovrebbe sempre essere l’evento che incarna l’amore, più che la realizzazione di un istinto che secondo me non esiste né nella madre né nel padre.

Buona sera, lei ci ha lasciato un suggerimento prezioso rispetto a questa drammatica condizione dell’evaporazione del padre che riguarda il fatto della testimonianza: il padre è testimonianza del figlio. Ma cosa accade quando il figlio non accoglie questa testimonianza, quando non riesce ad identificarsi con il senso della vita che il padre ha costruito e che il padre gli propone?

Prima di tutto farei una precisazione, insisterei sull’aspetto della testimonianza, ma distinguerei il padre testimone dal padre esemplare. I padri esemplari, quelli che vogliono essere un esempio ideale agli occhi del figlio sono insopportabili. I padri che si pongono come esempio per i figli sono un grande problema, direi quasi un incubo. I padri educatori, che vogliono essere degni educatori, hai miei occhi sono un problema per i figli e spesso noi raccogliamo, come psicoanalisti, i cocci dei padri educatori, che si pongono come esempi ideali. La testimonianza è un’altra cosa, esclude l’esemplarità. La testimonianza indica, come diceva Michele Serra, il silenzio, nel silenzio e generalmente non produce effetti immediati.

Io, per esempio, posso dire di aver scoperto la testimonianza silenziosa di mio padre e, dunque, la sua eredità, il desiderio che mi ha trasmesso, molto avanti negli anni. Da ragazzo ho sperimentato la mia necessità, che è la necessità di ogni figlio, di entrare in conflitto col padre… La testimonianza viene ricostruita retroattivamente, solitamente in un altro tempo
della vita. In questo senso la testimonianza è come una semina e io sarei da questo punto di vista sufficientemente ottimista. Dove c’è testimonianza del desiderio di solito ci sono sempre dei frutti. Riguardo la presenza soffocante di un padre ne abbiamo un esempio nella Divina Commedia quando Dante incontra il conte Ugolino che finisce per divorare i suoi figli… e questa cosa mi sembra molto interessante e vorrei sapere cosa ne pensa…

Ecco potremmo prendere questa immagine dantesca e chiederci cosa significa per un padre, per un genitore divorare il proprio figlio. Nella puntata sulla madre abbiamo messo in luce il cannibalismo materno come una patologia della maternità, non come una deviazione patologica della maternità. Io penso che ogni volta che i genitori, padre e madre, hanno un progetto determinato o, come direbbe il giovane Leopardi nella sua lettera al padre “un piano di famiglia sul figlio”, rischiamo in ogni caso di divorare, cioè rischiamo di far sì che il desiderio del figlio, anziché essere proprio del figlio, sia un riflesso del piano di famiglia. Questo è il peggio che possa capitare quando i figli si trovano incaricati a realizzare non tanto il loro desiderio, ma il desiderio dei propri genitori. Vengano divorati dai desideri dei propri genitori, dai progetti narcisisti dei propri genitori. È una tentazione per i genitori questo, parlo adesso come genitore non come psicoanalista. Ogni genitore porta con sé questa tentazione: di attribuire un proprio desiderio al figlio e bisognerebbe essere avver Io le chiedo: “Come possono i giovani d’oggi, che vivono nel tempo del padre evaporato, provare un modo per reimpostare qualche legge, per non finire n qualche modo a deriva e quindi cercare di aggrapparsi a quell’idea di padre che magari non hanno interiorizzato o hanno perso, o che magari è stata appresa male o travisata? Può essere in qualche modo l’idea di Dio, cioè la religione un buon aiuto?

Sono troppe domande insieme. Io risponderei così, che le nuove generazioni, che assomigliano un po’ a Telemaco nel ragionamento invochino non tanto il padre che guida in modo infallibile la vita dei figli, ma invochino l’esistenza di padri testimoni. I nostri figli, le nostre generazioni hanno necessità di testimonianze paterne, ma queste testimonianze non necessariamente accadono in famiglia, l’incontro con il padre testimone può benissimo avvenire fuori dalla famiglia, non sempre in un luogo chiuso come a scuola, in piscina, in palestra, con un amico più grande, ma direi ancora di più, anche con un libro, con un viaggio, anche con un incontro particolarmente formativo. L’incontro con la testimonianza paterna dovremmo pensarlo come svincolato dall’eredità del sangue, dalla stirpe, svincolato dalla genealogia e direi anche dl sesso.

Volevo chiedere: “Quale madre, moglie, donna può aiutare un padre ad essere padre?”

Io direi che quello che aiuta è che ci sia tra i due un rapporto, un legame. Quando c’è un legame c’è più ossigeno. Quando un legame tra i due non c’è, c’è il rischio che si crei un legame fra uno dei due col figlio e che la coppia non sia la coppia dei genitori, ma il figlio faccia coppia con uno dei due e qui siamo di fronte ad un’alterazione.

Una cosa che ho imparato lavorando per tanti anni in un reparto della psichiatria infantile dedicato all’anoressia, è un dato familiare che all’inizio tendevo a trascurare, ma poi, ascoltando il resoconto dei pazienti e dei familiari, ho saputo che molte di queste ragazzine dormivano nel lettone con la madre. Sembra un dato insignificante, che però in realtà rivela qualcosa di essenziale, c’è un’alterazione: i “due” non sono più il padre e la madre, ma si è inserita un’altra coppia: madre – figlia che ha spodestato il padre (che dormiva o nel letto della figlia o sul divano) e questo ha contribuito a depotenziare la funzione del padre, che si trovava escluso dalla coppia. La funzione simbolica di un padre è quella di introdurre una separazione nella coppia madre-figlio. In questo caso la coppia madre-figlio si è solidificata e il padre è stato espulso. Se una donna resta una donna e non diventa tutta madre, salva il padre.