Santa Rosalia, la Santuzza

Lungo il percorso in pullman per salire sul monte,abbiamo potuto conoscere dalla guida notizie interessanti.

Nell’antichità il monte Pellegrino (alto 609 metri) aveva il nome di Ercte (per la sua ripidezza) e la sua importanza è dovuta alla presenza di una grotta sulla cima, in cui è vissuta da eremita per tanti anni Santa Rosalia.

Salendo, sulle sue pendici si nota un tempietto detto “dell’acqua santa”, con una sorgente miracolosa (chiamato così perché le sue acque sono ritenute pure e curative) e più avanti se ne nota un altro di forma ottagonale.

La notte dal 3 al 4 settembre e tutte le domeniche dell’anno, migliaia e migliaia di palermitani salgono in pellegrinaggio sulla cima di questo monte per venerare Santa Rosalia (nome che ricorda la rosa e il giglio, fiore della purezza e della verginità). Lungo la salita si nota che il monte è ammantato di boschi, soprattutto pini, di recente impianto, perché due anni fa un brutto incendio ha distrutto numerosi ettari di verde. Le tracce di questo incendio si vedono osservando molti alberi bruciati… alcuni si sono salvati, altri sono ormai morti. I più resistenti sono stati gli eucaliptus che, quando le radici non vengono compromesse, germogliano di nuovo. Si pensa che questo incendio sia stato doloso, causato dalla cattiveria umana, tanta cattiveria umana.

Ci sono molti arbusti di ferula (dai palermitani detta ferla) che bruciano lentamente e nell’antichità si usavano per fare le bocce e, secondo una leggenda, è l’arbusto che ha permesso a Prometeo di rubare a Giove il fuoco.

La ferula si raccoglie nel mese di luglio, prima che arrivino i temporali di agosto perché l’arbusto deve essere secco, poi viene tagliato in segmenti più o meno lunghi, utilizzati da mani esperte per fare sgabellini e tavolinetti, di forma cubica, intrecciando tra loro i bastoncini.

Con l’incendio sono stati bruciati anche i fichidindia, ma questi sono molto resistenti e sul tronco bruciato stanno spuntando nuovi germogli.

I frutti dei fichidindia sono buoni da mangiare, anche se selvatici, però chi si avvicina troppo alla pianta per raccoglierli deve fare attenzione perché rischia di trovarsi pieno di spine che sono molto leggere e aleggiano anche intorno alla pianta. La vegetazione sul monte è ricca anche di asfodeli dai fiorellini bianchi, molto cari ad una divinità antica: Afrodite. Crescono pure le calendule, di color arancione… è la natura che si sta risvegliando e che non si dà per vinta nonostante la cattiveria di certi uomini.

La strada che sale sul monte un tempo era lastricata di sampietrini, che ora sono finiti sotto l’asfalto perché la loro manutenzione era molto costosa e per rendere la strada meglio percorribile a piedi, per le donne con i tacchi.

Sulla cima del monte Pellegrino non c’è acqua e non ci sono sorgenti perché il terreno è di natura calcarea, ma l’acqua piovana filtra dal monte anche nella grotta e, per non disturbare i pellegrini, sono state messe delle canalette di latta che hanno il compito di far defluire le gocce d’acqua verso le pareti e anche verso una cisterna dove quest’acqua viene
ritenuta benedetta e viene chiamata “acqua di Santa Rosalia”, anche se non è potabile.

Santa Rosalia è diventata importante per la città di Palermo perché nel 1625 ha salvato la città dalla peste, che a Palermo ha preceduto di qualche anno la peste manzoniana dei Promessi Sposi, un periodo buio che si diffuse non solo in Italia, ma anche in Europa.

La vita di questa Santa sul monte Pellegrino è stata difficilissima: poteva entrare nella grotta solo carponi (l’ingresso a quei tempi era inaccessibile e solo dopo la scoperta delle sue reliquie l’ingresso è stato ampliato), viveva al freddo, si cibava solo di bacche e radici… ecco perché è morta così giovane, a soli 36 anni!

È bene conoscere alcune notizie sulla sua vita. È stata una dama di compagnia della regina Margherita di Navarra, madre di Guglielmo II il sovrano normanno.

Quando decise di intraprendere la vita religiosa si ritirò inizialmente in una grotta del feudo del padre che era barone, sui monti della Quisquina, che si trovano fra Palermo e Agrigento e fanno parte della piccola catena montuosa dei monti Sicani. In seguito decise, su invito della regina Margherita di Navarra, di trasferirsi a Palermo dove visse nella grotta del monte Pellegrino fino alla morte.

Arrivati in cima al monte, per raggiungere il Santuario custodito dai sacerdoti di don Orione (che un tempo qui vicino gestivano un Orfanatrofio) ci sono ben 74 gradini.

Nel Santuario, che è stato costruito intorno alla grotta, vi è una grande urna in vetro che contiene la statua di Santa Rosalia, realizzata nel Seicento dallo scultore fiorentino Gregorio Tedeschi, che ha impreziosito la città di Palermo con altre sue opere.

La statua della Santa, affettuosamente da tutti chiamata Santuzza, si presenta giacente, coperta con un vestito aureo con delle parti in oro-argento, donato dalla città di Palermo a Santa Rosalia da re Carlo III di Borbone, che regnò in Sicilia dal 1735 al 1754. Sopra l’urna c’è un bell’altare barocco con fantasie marmoree.

Dalla cima del monte si può godere completamente il panorama della di città di Palermo e si scorge anche l’inizio dell’autostrada che conduce all’aeroporto della città.

Siamo entrati a testa bassa e in assoluto silenzio nel Santuario dedicato a Santa Rosalia e dalla guida abbiamo ascoltato le notizie sulla vita della Santa.

Santa Rosalia Sinibaldo è vissuta fra il 1130 e il 1170. Figlia del conte signore della Quisquina, discendente da Carlo Magno, aveva pure la madre nobile, imparentata con la corte normanna. Verso i 14-15 anni Rosalia venne promessa sposa al conte Baldovino, ma Rosalia rifiutò, manifestando di aver già fatto la scelta di vita religiosa: la vita da eremita.

All’inizio si rifugiò per 12 anni in una piccolissima grotta in provincia di Agrigento, situata nei possedimenti del padre, ma, essendo poi disturbata dai briganti che infestavano la zona, abbandonò quel posto e si trasferì sul monte Pellegrino, salendo dalla valle del cinghiale che a quel tempo era l’unica possibilità di accesso.

Entrava nella grotta attraverso un buco che ora è stato di molto ampliato e la sua vita fu dura e piena di stenti, tanto che a 36 anni morì!

La sua fama e il suo culto si diffusero a Palermo solo a partire dal 1625 quando, secondo la tradizione, le fu attribuita la salvezza della città dall’epidemia di peste, portata in città da alcuni galeoni stranieri.

Secondo la tradizione le cose si svolsero così: una donna nel mese di maggio del 1624, salita sul monte, ebbe la visione di una giovinetta in ginocchio, vestita di sacco, con una corona in mano, che le indicava di scavare in un posto lì vicino, nella grotta. Con l’aiuto dei frati di don Orione che poco distante avevano costruito e gestivano un Orfanatrofio, si scavò per un mese e mezzo, finchè, prodigiosamente trovata una rosa sopra un sasso, rimuovendo quel sasso furono scoperte delle ossa dalle quali si sprigionò un profumo di rose. Le ossa vennero subito portate in città, dal Vescovo, che le tenne con il proposito di farle ben presto esaminare.

Intanto nella città di Palermo si stava diffondendo una terribile epidemia di peste, arrivata in città con alcune navi provenienti da paesi lontani e numerose erano le vittime.

Ecco che nel febbraio dell’anno dopo, avvenne un fatto straordinario: un tale Vincenzo, disperato per la morte della moglie colpita dalla peste, che si era recato sul monte Pellegrino con l’intenzione di togliersi la vita precipitandosi da lì in un dirupo profondo a picco sul mare. Arrivato in cima si sentì chiamare: “Vincenzo!… Vincenzo! Vieni con me!”.

Era una ragazza di 14-15 anni, luminosa, che così gli parlò: “Non temere! Va’ dal Vescovo e digli di portare in processione per le vie della città le mie ossa. La Madonna ha promesso
che al canto del Te Deum la peste non farà più vittime”. Il Vescovo rimase scioccato, ma si rese subito conto che le ossa che lui custodiva dovevano essere quelle dell’eremita Rosalia, che era vissuta nella grotta. Fatte subito esaminare le ossa da medici esperti, ci si accorse che mancava la testa. Fu scrupolosamente ricercata nella grotta e, aperto con lo scalpello un blocco di calcare, fu rinvenuto un piccolo cranio che fu fatto esaminare separatamente da tre medici. Essi concordarono nel definirlo un cranio femminile. Poiché l’unica donna che aveva soggiornato nella grotta era stata Rosalia, le fu attribuita anche la testa che, insieme alle altre ossa, fu portata in processione per le vie della città. Era il 9 giugno del 1625 e al canto del “Te Deum” avvenne il miracolo: le persone ammalate di peste, con le bolle visibili sul corpo, videro cadere dalla loro pelle per terra i bubboni pieni di pus e videro ricrescere all’istante una nuova pelle sana. Tutti poterono verificare il miracolo che guarì, nello stesso orario del Te Deum, tutti gli appestati.

Santa Rosalia fu subito proclamata patrona della città e la sua devozione si diffuse fino a raggiungere anche l’estero. Venne costruito in suo onore il Santuario sul monte Pellegrino e i
lavori di scavo durarono 3 anni e mezzo.

All’interno si trova la statua di S. Rosalia, in posizione giacente per ricordarci che molto probabilmente è morta mentre dormiva; la sua mano è un po’ aperta come per invitarci ad ascoltare, a dialogare, a relazionarci, a riscoprire il valore della comunicazione a tu per tu, a riscoprire l’ascolto nel senso più largo del termine.

Il manto di Santa Rosalia è stato posto in un secondo tempo, da una persona che ha ricevuto la grazia della guarigione. Dietro l’altare ci sono numerosi “pizzini”, cioè foglietti con
frasi essenziali scritte dai devoti che vengono in visita.

Interessante è anche il crocifisso che si trova nel Santuario: l’autore ha voluto inserire nel costato di Gesù una pietruzza rossa per mettere in evidenza il valore del sangue di Gesù,
che ci ricorda sempre l’amore di Dio per noi.

Prima di terminare la testimonianza, la guida ci ha invitato ad impegnarci a desiderare cose grandi, ideali alti come la cupola del Santuario che si erge nel cielo e ci ha spronato a fare scelte robuste e a guardare all’essenzialità delle cose. Ci ha detto anche che l’acqua filtrante attraverso le pareti della grotta ci ricorda che il bene prevale sempre sul male ed è simbolo che Gesù sempre ci disseta e purifica. Quando in famiglia ci sono situazioni di difficoltà economiche, ma anche spirituali, la grazia di Dio è presente sempre.

Un momento di raccoglimento ci ha poi preparato alla celebrazione della Santa Messa.


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