Introduzione del professore Roberto Pertici
Professore di storia contemporanea dell’Università degli Studi di Bergamo
È un grande onore per la nostra Università – lo devo dire subito – che S.E. il card. Giovanni Battista Re sia oggi qui tra noi, in questa Aula Magna così carica di arte e di storia, a parlarci di Papa Giovanni XXIII e l’apertura al dialogo interreligioso e interculturale nel ‘900.
Secondo l’autorevole indicazione del nostro Rettore, il povero sottoscritto dovrebbe introdurre (così è scritto sulla locandina) l’intervento di S.E. e dire anche qualcosa della figura del bergamasco Angelo Giuseppe Roncalli agli studenti e alle studentesse della sua terra. E farlo, non da storico del Cristianesimo o della Chiesa (io non lo sono), ma da studioso dell’Italia e dell’Europa del XX secolo. “Vaste programme”, avrebbe detto il generale De Gaulle.
Come presentare questa figura a dei Millennials (come oggi si usa dire), per i quali ogni decennio che ci separa dalla metà del Novecento è come un secolo? Per i quali quegli anni, che i più anziani di noi hanno vissuto, sono un mondo in bianco e nero che i più volenterosi vanno a visitare su You Tube o in qualche vecchio film?
Ho deciso di fermarmi su un episodio della vita giovanile e bergamasca di Roncalli, quando era un giovane sacerdote che aveva poco più della loro età e viveva poco distante da qui, a fianco del vescovo Giacomo Radini Tedeschi, di cui era segretario. Il 4 dicembre del 1907 (don Angelo aveva dunque ventisei anni, era nato nel 1881) il giovane sacerdote tenne nel seminario di Bergamo una conferenza sul Cardinale Cesare Baronio (ricorreva – si legge nel titolo – il terzo centenario della morte). Roncalli, infatti, era uno studioso di storia (lo dico con compiacimento): aveva studiato teologia, come tutti coloro che si avviano al sacerdozio, qui a Bergamo e poi Roma presso il prestigioso Seminario romano dell’Apollinare, quello vicino a Piazza Navona.
Qui aveva avuto, come Professore di Storia ecclesiastica, don Umberto Benigni, un uomo di Chiesa dal discusso avvenire. Tornato a Bergamo, dal 1906 fu docente di Storia ecclesiastica presso il seminario bergamasco.
Dobbiamo farci inevitabilmente la domanda manzoniana: Cesare Baronio, chi era costui? Baronio fu uno dei maggiori storici-eruditi del Cinquecento, che raggiunse la porpora cardinalizia e che quasi sfiorò il pontificato (fu il veto del re di Spagna che impedì la sua elezione nel primo conclave del 1605).
La sua opera fondamentale sono gli Annales Ecclesiastici a Christo nato ad annum in 12 volumi (Roma, 1588-1607). Si trattava di una risposta a un’altra gigantesca opera, le Centurie di Magdeburgo, uscite in 13 volumi (Basilea, 1559 al 1574), opera di un’équipe di eruditi protestanti che volevano dimostrare che lo spirito evangelico della Chiesa primitiva era stato tradito dalla Chiesa di Roma ed era invece stato restaurato recentemente da Martin Lutero. Per confutare questa analisi, Baronio si mise a raccontare la storia della Chiesa dalle origini alla fine del XII secolo. Ma con quale spirito?
Questo è il problema. La missione gliel’aveva affidata il suo maestro Filippo Neri, umanista fiorentino che si era disciplinato nell’ambiente della Controriforma romana, diventandone uno degli esponenti più geniali.
“Cesare, – gli disse e Roncalli lo ripete – le Historie ecclesiastiche le hai da fare tu”. Ma come? “Alle eresie – questa l’impostazione che Filippo Neri consegnò al suo discepolo – si risponde con la riforma religiosa, non con lo scontro frontale; piuttosto che «oppugnar con sottile dialettica e con grande erudizione» gli “errori” dei diversamente pensanti, è preferibile mostrare in positivo le ragioni della verità”. «Si potrebbe dire – scrive un biografo del santo fiorentino – ch’egli [Filippo Neri] non dimostrò, ma invece mostrò, la virtù della Chiesa cattolica: il che è un modo di persuasione diverso alquanto dall’altro, ed efficacissimo sempre». Mostrare in positivo le virtù del cattolicesimo, piuttosto che dimostrarle in controversie e polemiche o in un confronto puramente intellettuale: questa la concezione di Filippo Neri che sta dietro alla grande opera del Baronio. E questo è un dato originario della personalità pastorale di Roncalli, che egli eredita, appunto, della spiritualità di Filippo Neri. [Il giornale dell’anima, 26 maggio 1903 (198-199)] Roncalli si situava in una tradizione di spiritualità cattolica che non temeva la gioia e il sorriso, anzi, li individuava come indizi certi di vita cristiana.
A tale tradizione appartenevano alcuni dei santi a cui si sentì particolarmente vicino: Francesco d’Assisi, Filippo Neri, Francesco de Sales. «Era il Papa del sorriso»: quante volte lo si è ripetuto, a proposito e non! Ma quel sorriso non scaturiva dalla bonarietà contadinesca di un parroco salito al soglio di Pietro (come anche si è ripetuto), ma da una precisa scelta antropologica e, direi, teologica.
Come Roncalli era giunto alla figura di Cesare Baronio? Un’ipotesi non peregrina è che il tramite sia stato proprio il suo amore per Filippo Neri e la spiritualità filippina, attraverso la decisiva lettura della grande opera del cardinal Alfonso Capecelatro: “La Vita di S. Filippo Neri”, uscita in tre volumi nel 1879. Certamente anche la preziosissima opera di Generoso Calenzio “La vita e gli scritti del cardinale Cesare Baronio” (Roma, Tipografia Vaticana, 1907) è stata una delle fonti fondamentali per la conferenza tenuta da Roncalli alla fine di quell’anno, ma è difficile pensare che il suo interesse per il Baronio nascesse da lì.
Lui stesso afferma che: “Nelle poche ma bellissime pagine che l’illustre Cardinal Capecelatro consacra agli Annali del Baronio, in quella sua mirabile opera che è La Vita di S. Filippo Neri…” Proprio per questo credo che per Roncalli la figura di Filippo Neri sia stata mediata dall’opera di Capecelatro (è sicuro che già nel 1903 avesse letto il Newman di Capecelatro) e che in quest’opera si sia imbattuto nella figura di Cesare Baronio. Ma quello che è straordinario è che in quelle poche pagine Roncalli abbia incontrato un episodio che ha avuto grande importanza nella sua vita.
Leggiamo allora questo passo di Capecelatro: “Umile, paziente, mortificato, avvezzo al lavoro e alla fatica, obbediente come un fanciullo al Santo, e signore di se stesso a petto di qualunque ostacolo […]
Il Baronio, credo per consiglio di Filippo, era solito di andare ogni giorno a piedi nella chiesa di San Pietro a pregare, e vi pregava con tanto fervore, che gli occhi gli si riempivano
di lacrime.
Si prostrava davanti alla statua del Principe degli Apostoli, dicendogli ogni dì queste due parole, nelle quali è tanta luce di semplicità e di bellezza: Obbedienza e pace: e codeste parole che gli stavano nel cuore, le ripeteva poi prostrandosi al sepolcro del santo Apostolo, invocandolo, e pregandolo che venisse in aiuto alla Chiesa turbata e scissa dall’eresia protestante. Esse servivano mirabilmente a rendere sempre più vivo nel Baronio l’amore della Chiesa, e lo avvezzavano a guardarla nel centro della sua unità, ch’è appunto l’Apostolo san Pietro” (A. CAPECELATRO, La vita di S. Filippo Neri. Libri tre, II, Roma-Tournay 18893, pp. 116-117)
Ho voluto ripercorrere questo episodio della vita giovanile di Roncalli per mostrare le radici (o almeno una delle radici) di quell’atteggiamento dialogico, di apertura ecumenica, di distinzione fra l’errore e l’errante, di accettazione del proprio tempo che tanto impressionarono i contemporanei: quella cultura di “riforma cattolica” che aveva avuto in Filippo Neri uno dei suoi più illustri esponenti ripresa da certo cattolicesimo “conciliatorista” di fine Ottocento.
Ma del suo pontificato e del suo significato ci parlerà S.E. il card. Re. Disobbedisco al nostro Rettore e non lo presento minutamente. Non ce n’è bisogno.
È uno dei più illustri componenti del Sacro Collegio, di cui è Sottodecano.
Il Cardinale Giovanni Battista Re, nasce a Borno, in Val Camonica, nel 1934. Viene consacrato sacerdote nel 1957 per la diocesi di Brescia e inviato a Roma per gli studi di Diritto Canonico alla Pontificia Università Gregoriana.
Torna a Brescia come Viceparroco e dopo due anni viene richiamato a Roma alla Pontificia Accademia Ecclesiastica. Nel 1963 riceve il primo incarico alla nunziatura apostolica in Panama, dal 1967 al 1971 lavora presso la rappresentanza in Iran. Nel gennaio 1971 viene richiamato in Vaticano come segretario del Cardinale Benelli.
Nel 1987 Papa Giovanni Paolo II lo consacra Arcivescovo. Dal 1989 al 2000 è sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato della Santa Sede.
Nel 2000 è nominato Prefetto della Congregazione per i Vescovi – dicastero per la nomina e il controllo dei Vescovi di tutto il mondo, tranne i Paesi di missione – e presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina.
Nel 2001 viene creato Cardinale. Nel 2010 Papa Benedetto XVI accetta la sua rinuncia per limiti di età.
Continua a mantenere ruoli di consulenza presso alcuni uffici della Santa Sede. Durante il conclave del 2013, nel quale venne eletto Papa Francesco, in qualità di cardinale elettore primo per ordine ed anzianità svolge il ruolo di presidenza ed è lui a chiedere l’accettazione al nuovo Pontefice. Nel 2017 papa Francesco lo nomina vice decano del Collegio Cardinalizio.